Infanzia reclusa. I bambini del manicomio San Niccolò di Siena

Infanzia reclusa. I bambini del manicomio San Niccolò di Siena (Nerbini editore) completa il percorso di ricerca sulla storia del manicomio senese iniziato oltre venti anni fa da Francesca Vannozzi, storica della medicina, che ha portato nel tempo all’uscita dei volumi San Niccolò. Storia di un villaggio manicomiale (2007) e Pianeta diversità. Per una memoria del manicomio di Siena (2018).

Come l’autrice afferma nella prefazione, “il grande edificio, entrando a destra in Porta Romana a Siena, ha sempre suscitato la mia curiosità. Da tempo pensavo di ricostruire la sua storia, ma ne temevo un po’ le conseguenze. Mi intimoriva il dover ‘gettare luce’ su una realtà che mi inquietava, perché fatta della presenza di bimbi, anche molto piccoli, affidati dalla famiglia ad una struttura comunque manicomiale”. A tal scopo, è iniziata la sua accurata ricerca negli archivi storici della Società Esecutori Pie Disposizioni e dell’Azienda USL Toscana sud-est, preziosi scrigni di documenti necessari per ricostruire le vicende del San Niccolò.

Dal libro emerge una realtà assai poco conosciuta: quella dei bambini denominati “idioti” o “imbecilli” in base alla gravità della loro menomazione psichica, ospitati nel Reparto Ferrus o Padiglione per frenastenici appositamente realizzato nel 1879 all’interno del perimetro della cittadella manicomiale. Ma al contempo si mette in luce la politica sanitaria e assistenziale all’avanguardia fortemente sostenuta dal direttore Antonio D’Ormea, che guidò il manicomio senese di San Niccolò dal 1909 al 1952 e che volle introdurre una moderna educazione medico-psico-pedagogica dei minorati e anormali psichici della prima età. Tale impostazione portò all’esigenza di una struttura specifica per i fanciulli affetti da problematiche mentali, dove poter impartire una adeguata cura e assistenza psichica, educativa e morale, secondo una concezione di profilassi infantile. Il vecchio reparto Ferrus dentro il manicomio, poi Sezione per fanciulli deficienti con asilo e scuola, fu così sostituito nel 1932 da un vero e proprio Istituto medico psicopedagogico a impronta nettamente educativa, finalizzato anche al possibile reinserimento nella società, quando la patologia lo avesse consentito. Nel 1933 venne aperto anche un Consultorio di Igiene Mentale con lo scopo di prestare opera di profilassi contro le malattie mentali. Fiore all’occhiello della struttura, la scuola elementare che nel 1959 ottenne la parificazione.

Il volume di Francesca Vannozzi segue i cambiamenti e gli ammodernamenti realizzati negli anni, e le scelte operate per garantire ai bambini una vita fortemente disciplinata, fatta di educazione morale, scolastica, fisica, allietata anche da momenti di svago, quali rappresentazioni cinematografiche, teatrali, merende e scampagnate, secondo l’indirizzo medico psicopedagogico del momento. Con il tempo, l’impegno riabilitativo ed educativo andò sempre più a dar spazio a quello socializzante per il bambino e di sostegno alla famiglia, con il fine prioritario dell’inserimento responsabile nella società, garantito dalla costruzione della personale autonomia del piccolo paziente. Tale evoluzione, che corre parallela ai mutamenti vissuti dall’istituzione manicomiale, fa comprendere come la struttura assistenziale ritenuta la più idonea dagli anni Settanta diventasse quella della casa-famiglia. L’Istituto andava aprendosi all’esterno con la ricerca di un’integrazione nella realtà sociale della città.

I minori rimasti nell’Istituto nel 1974 erano pertanto in gran parte quelli con insufficienza mentale e autismo grave, cioè non autosufficienti. Il processo di deistituzionalizzazione dell’Istituto, a favore di soluzioni diverse in alternativa al ricovero, si concluse nel 1980, all’interno del più complesso processo di trasferimento delle funzioni dell’Ospedale psichiatrico all’Unità sanitaria locale Area senese.

 

L’educabilità dei “fanciulli anormali psichici”

Il volume si completa con una introduzione scritta da Davide Orsini, storico della medicina, dedicata alla educabilità dei “fanciulli anormali psichici”.

Prendendo spunto dall’affermazione di Jean-Jacques Rousseau che nella prefazione al suo romanzo pedagogico Émile ou De l’éducation scrive: «Nonostante tanti scritti… l’arte di formare gli uomini è ancora dimenticata. Non si conosce affatto l’infanzia… Cercano sempre l’uomo nel fanciullo, senza pensare a ciò che egli è prima di essere uomo», propone una prospettiva storica sugli ‘ineducabili’ a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, sul problema sociale di una frequente associazione del ritardo mentale alla delinquenza minorile.

Nel XIX secolo, anche sulla spinta romantica di un nuovo interesse per l’infanzia e per metodi educativi più umani, si fa strada il concetto che nel bambino, così come nell’adulto, possa presentarsi un disturbo mentale. Tuttavia l’idea al tempo universalmente accettata che la pazzia, l’immoralità e la reprensibilità sociale fossero tutte conseguenze dell’ereditarietà, determina un doppio binario di studi che sono comunque strettamente collegati: quello sul ritardo mentale, che ricomprende vari tipi di devianza, e quello che prende invece in considerazione la delinquenza minorile. Ne deriva nella pratica l’emergere di un universo fatto di bambini abbandonati e rinchiusi in strutture manicomiali, alcuni con deficit psichici di varia gravità, altri con menomazioni sensoriali o motorie spesso considerate prove tangibili di un qualche ‘peccato’, altri ancora con malattie genetiche, cui si aggiungono figli di sifilitici, alcolisti, tubercolotici e anche orfani, tutti accomunati dall’abbandono, dall’emarginazione e dalla povertà. Sono i cosiddetti ineducabili, ai quali vengono dedicati gli studi e le opere dei pionieri della psichiatria infantile nel nostro Paese, da Sante De Sanctis a Giuseppe Montesano e Maria Montessori.

Davide Orsini accompagna il lettore attraverso la nascita e l’evoluzione della neuropsichiatria infantile, l’affermarsi delle classi differenziali e delle scuole speciali, fino alla fase dell’integrazione negli anni Settanta e alle successive politiche di inclusione.

Sempre di Davide Orsini è l’appendice “Salvatore, un bambino dell’Istituto D’Ormea”. Quella di Salvatore è la storia di un bambino senza genitori che dal Brefotrofio di Reggio Calabria viene mandato all’Istituto D’Ormea nel 1963, quando ha 4 anni. Con grande lucidità Salvatore, ormai adulto, ha raccontato la sua storia mettendo in luce le problematiche che al tempo caratterizzavano l’infanzia abbandonata o con disabilità psichiche ma anche i tanti aspetti positivi dell’Istituto medico psicopedagogico senese.