Il manicomio di Siena. Un Museo diffuso a cielo aperto

Gli ultimi decenni hanno visto un grande sviluppo del dibattito sulle modalità attraverso le quali i musei restituiscono le storie che li caratterizzano. Accanto agli oggetti da proporre al pubblico, un compito particolarmente difficile è quello che ha come obiettivo il salvare e diffondere le memorie orali e dei luoghi, spesso passati ad altra destinazione o poco accessibili, le cui storie sono in parte dimenticate. Interessante in tal senso il caso del Manicomio San Niccolò di Siena, un vero e proprio museo di storia della sanità e dell’assistenza mai costituito, in uno spazio che a vent’anni dalla chiusura è diventato “altro”, destinato a strutture universitarie e sanitarie, e in parte abitative. Eppure è uno spazio che ancor oggi, nonostante i cambiamenti subiti, può testimoniare un insieme articolato e ricco di connessioni dove, dall’apertura nel 1818 alla chiusura nel 1999, traumi profondi e cure mediche, esperienze di ergoterapia nel molino, nel forno, nel guardaroba, nelle officine, nella colonia agricola si sono intrecciati alla storia della politica nazionale e locale, della scienza medica, dell’economia, dell’architettura. Per far conoscere tutto questo – a fianco di una ricca bibliografia che racconta la storia dell’Istituzione manicomiale partendo dalle ricerche d’archivio – sono stati sperimentati altri modelli di narrazione per coinvolgere nuovi pubblici, non specialistici ma interessati alla storia della città e delle sue istituzioni: tentativi di superare definitivamente il concetto di museo come luogo espositivo e per mettere in evidenza in quanti modi il museo può esercitare un ruolo importante e attivo anche nella costruzione della storia stessa. In particolare, si è tentato di formulare nuove pratiche che sperimentano azioni affinché l’accessibilità sia realizzata soprattutto attraverso l’empatia e l’inclusione, strategie fondamentali per il coinvolgimento del pubblico. Due video documentari sono stati realizzati nel 2007 e nel 2018 appositamente per attrarre e coinvolgere tali pubblici in questo “museo diffuso a cielo aperto”. Sono stati intervistati gli ultimi operatori che hanno lavorato al Manicomio senese, sia in ambiti medico-assistenziali (psichiatri, farmacisti e infermieri) che in quelli tecnici (cuochi, fornai, mugnai, guardarobieri…) nella consapevolezza che proprio la multivocalità della memoria orale potesse offrire ulteriori oggetti/storie utili a far conoscere la storia di vicende e spazi ormai dimenticati. Ne sono derivati strumenti accessibili a tutti, sia per la semplicità del linguaggio con cui vengono presentati sia perché pubblicati online. Si può parlare di strumenti inclusivi, perché gli “attori” sono gli stessi malati e lavoratori del Manicomio, “recuperati” in un più ampio progetto di valorizzazione culturale, che tende ad includere persone tra le più diverse, che si legano a queste storie e ai suoi personaggi attraverso un rapporto empatico. Strumenti che stimolano la conoscenza e la riflessione, prendendo spunto anche dalla memoria raccontata per superare gli steccati disciplinari, per aprire un dialogo tra antropologi, medici e storici, ribaltando il paradigma consolidato che per raccontare un manicomio le uniche strade sono quelle di raccontare la storia della psichiatria o le storie di vite spesso travagliate, dolorose o bizzarre dei degenti. Il risultato positivo ha dimostrato che alcuni luoghi possono farsi collettori di memorie, di storie orali, salvando attraverso video e interviste testimonianze che altrimenti, nel naturale corso del tempo, andrebbero irrimediabilmente perdute.

 

Maria Luisa Valacchi, Davide Orsini

Gruppo di lavoro per la Memoria del manicomio San Niccolò